mer 09 gennaio 2013 - Autore : giancarlo
Credetemi sulla parola, mi stò sforzando di appassionarmi al dibattito politico che in questi giorni pre-elettorali si sta via via sviluppando (o avviluppando?) nella nostra cara Italia, ma non ci riesco. Manca ancora un mese abbondante e chissà quante ne sentiremo e ne vedremo ancora! Ed allora trovo di meglio e mi appassiono a sane letture. Un caro amico mi ha prestato un bellissimo libro sulla vita di Arpad Weisz scritto da un tal Matteo Marani, giornalista sportivo. Come Don abbondio direte “Carneade, oibò, chi era costui?” Presto detto: Arpad Weisz era l’allenatore che ha vinto tre campionati di calcio negli anni trenta, uno con l’Internazionale Ambrosiana e due con il Bologna, che all’epoca, i dotati di buona memoria ricorderanno, “tremare il mondo fa”. Si diceva il mondo perché il Bologna in quegli anni (mi pare il trentotto) vinse anche il trofeo internazionale tra club che si svolse a Parigi, battendo in finale nientemeno che i maestri inglesi del Chelsea. Un po’ come vincere l’attuale Champions League . Il primo scudetto lo vinse all’età di trentaquattro anni che per un allenatore italiano è ancora un record imbattuto. E voi direte : “E allora?” Allora c’è che, per farla breve, questo allenatore era ungherese ma di origine ebraica, c’è che nel trentotto vennero emanate dal regime fascista le tristi “leggi razziali”, che proprio per queste fu costretto a riparare a Parigi e poi in Olanda, che in seguito sarà occupata dai nazisti, e infine “passato per il camino” di Auschwitz assieme alla moglie e ai due figli. Lo svolgersi di questa tragica vicenda, che ha accomunato il destino dei Weisz a quella di altri sei milioni di sventurati cittadini europei di origine ebraica, ripone ancora domande angoscianti. Matteo Marani, l’autore, ci porta a riflettere sul senso di questa tragica vicenda e sulle implicazioni che essa ha avuto sulla nostra coscienza collettiva di cittadini italiani ed europei. Mentre i Weisz finivano la loro vita “passati per il camino”, tanto per ricordare le parole della canzone Auschwitz di Guccini, cosa dicevano e facevano i giocatori del Bologna, che tanto gli dovevano sul piano professionale, o quelli dell’Ambrosiana (che Inter all’epoca non si poteva dire, parola di radice straniera), od il resto dei calciatori del campionato italiano? Zitti come l’allora presidente del Bologna, quel tal Dallara (di origine reggiana) al quale è stato dedicato il magnifico stadio di Bologna. Zitti come il grande campione Meazza, idolo delle folle e della nazionale italiana, che Arpad Weisz scoprì e lanciò in prima squadra nell’Ambrosiana scommettendo, anche se giovanissimo, sulle sue qualità calcistiche. Zitti come i cittadini di Bologna che abitavano nello stesso palazzo ove abitavano i Weisz a poche centinaia di metri dallo stadio comunale. Vedere la copia delle cartoline che il figlio Roberto Weisz mandò al figlio coetaneo dei vicini di casa, cartoline scritte in bella calligrafia, in corretto italiano (era bravissimo a scuola, dovette abbandonare Bologna alla vigilia dell’inizio della terza elementare) ove traspare la nostalgia per il paese ove era nato ed era cresciuto fino al tragico momento del forzato esilio, tutto ciò lascia un senso di amarezza e sgomento indescrivibile. Ed allora vi dirò che forse riflettere su questi tremendi interrogativi aiuta anche ad analizzare il presente, a non farsi prendere la mano da facili sottovalutazioni dei rischi che corre questa benedetta Italia, a mantenere la lucidità per non cadere nelle illusioni che la storia nazionale di già ben conosce, guarnedole, per renderle più abboccanti, con espedienti conditi dalle solite promesse di maggior benessere, maggior libertà, maggior giustizia ecc. ecc. ecc. |
Commenti
A questo articolo non è possibile aggiungere commenti